Vitigni autoctoni e vitigni internazionali: uno sguardo d’insieme

Questo è il primo di una serie di articoli legati al mondo del vino; consapevoli dell’importanza e del valore che tale produzione riveste nel nostro Paese, non potevamo non considerarlo in un blog che punta a valorizzare i piatti ma anche le coltivazioni ed i prodotti della penisola italiana.

Molti aspiranti intenditori di vino alle prime armi, sentendo parlare di varietà di vino, si sono chiesti, almeno una volta nella loro vita, quale sia la differenza tra vitigni autoctoni e vitigni internazionali e quali vitigni appartengano all’una ed all’altra categoria.

Cominciamo col dire che i vitigni internazionali sono quelli che si sono adattati e diffusi in molte latitudini del mondo, in alcune delle quali il vigneto era fino alla loro introduzione sconosciuto, ma li troviamo ovviamente anche in Paesi dove la vite è presente da secoli, dunque anche in Italia. Ma quali sono i principali vitigni internazionali? 

Quelli a bacca rossa sono il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot, il Pinot Nero, il Syrah e lo Zifandel; quelli a bacca bianca lo Chardonnay, il Sauvignon Blanc, il Pinot Bianco e Grigio, il Riesling e l’Airén. Si tratta di poche tipologie di vitigni dai quali si produce buona parte del vino mondiale: si calcola che da soli 13 vitgni si ricava un terzo del vino mondiale.

La qualità dei vini ottenuti da queste uve può essere sicuramente eccelsa e in molti casi occupano le primissime posizioni nelle classifiche dei migliori vini nazionali ed internazionali stilate da riviste ed esperti del settore. Ma è altresì vero che, mettendo in risalto queste varietà, si crea una certa omologazione nelle produzioni e nei gusti, non dando il meritato spazio ed importanza ai vitigni meno diffusi e presenti a livello locale.

Questi vitigni sono i cosiddetti vitigni autoctoni. Si tratta di qualità di vitigni specifici di una determinata zona e che hanno un legame indissolubile, costruito in secoli di storia, con il suo terroir (il terroir è l’insieme delle caratteristiche naturali, fisiche, chimiche e climatiche che caratterizzano una determinata zona agricola). I vitigni autoctoni italiani sono davvero tanti (Slow Wine parla di 700 varietà autoctone) e ce ne sono alcuni più utilizzati di altri nella produzione dei vini italiani.

Venendo ai nomi, solo per citarne alcuni, non possono non essere menzionati il Nebbiolo, usato per la produzione di Barolo e Barbaresco in Piemonte, il Sangiovese per i grandi vini toscani, il Negroamaro ed il Primitivo in Puglia, il Sagrantino in Umbria, il Nero d’Avola tipico del siracusano, il Montepulciano nel centro Italia, l’Aglianico soprattutto in Campania e Basilicata, la Glera coltivata in Veneto e Friuli ed utilizzata per la produzione del prosecco.

Negli ultimi tempi si sta assistendo alla rivalutazione dei vitigni autoctoni, soprattutto per la loro unicità, e questo permette altresì di dare maggiore risalto ad un determinato territorio che, se ospitasse un vitigno internazionale, costituirebbe soltanto una piccola parte dei milioni di ettari mondiali destinati a vigneto, senza quel bagaglio di storia e tradizione che ne è fondamento.

È altresì importante non soffermarsi sui vitigni autoctoni che hanno maggiore risonanza a livello nazionale ed internazionale, ma favorire la riscoperta e la valorizzazione dei vitigni meno noti ai più, per non dissipare un patrimonio che è stato in alcuni casi faticosamente tramandato fino ai giorni nostri.

 

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