Noi che instancabili il Gusto lo inseguiamo ovunque, questa volta abbiamo fiutato le sue tracce nell’entroterra toscano. La nostra missione si svolge in data 27 maggio, occhi puntati sull’evento Cantine Aperte 2018: è l’occasione che cercavamo. La strada da fare è lunga e tortuosa, ma in compenso offre un panorama collinare che è una vera goduria per gli occhi. Vegetazione fiorente ovunque, la toscana si scusa così delle abbonanti piogge invernali.
Esattamente a metà tra Firenze e Siena, ecco spuntare la nostra meta: la Cantina Melini, in località Gaggiano, nei pressi di Poggibonsi. L’edificio, circondato da colline colme di vigneti, ci accoglie rassicurante sotto i suoi portici, per fare la conoscenza del padrone di casa: il Chianti. Da queste parti lo etichettano in tanti modi: San Lorenzo, Il Granaio, Terrarossa, la Selvanella. Ma, comunque lo si voglia chiamare, oggi il padrone non è solo. A fargli compagnia la finocchiona toscana e la schiacciata, per un connubio gastronomico indiscutibile. Il gusto è servito. A rendere ancor più appagante l’esperienza sensoriale ci pensano la gentilezza del personale e una buona musica dal vivo.
Si direbbe che è finita qui, dopo questo ristoro dei sensi a tutto tondo.
In realtà la caccia al gusto è appena iniziata! Ed anzi ora si fa anche più avventurosa. Lasciamo i portici e scendiamo, gradino dopo gradino, nelle buie cantine sottostanti l’edificio alla scoperta delle “fondamenta” che sostengono, dal lontano 1705, questa importante casa vinicola facente parte del Gruppo Italiano Vini Spa.
Una Cantina che nei secoli ha presidiato e valorizzato il territorio circostante non può che suscitare ammirazione, se si fa il paragone con i tempi moderni dominati dalla frenesia e dalla precarietà. Qui, i bui locali sotterranei e il rigoglioso e produttivo paesaggio circostante formano un sodalizio di lunghissima durata. E ciò che ne viene fuori è qualcosa che è fuori dai canoni attuali: l’eternità di un prodotto che non conosce età, la lentezza della sua maturazione, la pazienza di chi lo custodisce e lo segue nel suo processo
di trasformazione.Ma il ruolo di custode della tradizione, seppur ben interpretato, non le basta, e così la Cantina Melini prova a distinguersi dalle altre arricchendo il suo prodotto con connotati di unicità e modernità, come il particolare imbottigliamento “a campana” che ricorda l’antico fiasco toscano, o gli speciali metodi di produzione impiegati. Ci pare dunque che ne sia valsa la pena fare tappa in questo luogo e, seppur da spettatori, sentirci parte di questo piccolo angolo toscano che coniuga abilmente tradizione e innovazione.
Tornando al tour sotterraneo, l’impressionante fila sterminata di botti in rovere (se ne contano a migliaia, leggendo le numerazioni stampate su di esse) ci indicano la via da seguire per arrivare nuovamente al Gusto. Man mano che si procede le botti mastodontiche lasciano via via spazio a quelle di più ridotte
dimensioni, segno che la direzione presa è quella giusta. Fino al punto in cui la fredda, buia e silenziosa cantina lascia il posto ad un complesso di ingegneria vinicola: file di macchinari che imbottigliano, controllano ed etichettano la bellezza di 14000 bottiglie di vino all’ora. Il Gusto cambia forma, ma non sostanza.Attraversati gli ambienti dedicati alla produzione, arriviamo al momento decisivo. Una sala si apre davanti a noi per la degustazione guidata: file di calici attendono di essere riempiti e portati alle nostre bocche, non senza essere passati prima dalle analisi visiva e olfattiva, seguendo le meticolose istruzioni dell’enologo. In sfida vanno due vini: da un lato c’è il Chianti Governo, dal sapore fruttato per via della rifermentazione a cui è stato sottoposto con uve appassite; a sfidarlo c’è La Selvanella, un Chianti Classico austero e sapido. Chi vince? È un trionfo dei sensi. E il nostro Gusto? È lì: lui attende paziente il suo turno e poi chiude in bellezza, inebriante e sincero.
2018-06-02