La riscoperta di un vitigno
Quella di cui vi parliamo oggi è una storia che vale la pena di essere raccontata e condivisa, più di altre, per il suo significato. È una storia che parla di curiosità, di voglia di sperimentare, di tenacia, di passione per il proprio lavoro. Ma, soprattutto, di desiderio di recuperare qualcosa che rischiava di andare perso, probabilmente per sempre. Quel qualcosa è indissolubilmente legato al territorio italiano ed al patrimonio di biodiversità in esso presente.

Oggi parliamo del recupero di un vitigno autoctono, la Merera, avvenuto nel Castello di Grumello, a Grumello del Monte. La zona è quella della Valcalepio DOC, tra Bergamo ed il lago d’Iseo. Questo vitigno venne scoperto circa quarant’anni fa dall’enologo Carlo Zadra che lo piantò con altre varietà nel vigneto del castello. In seguito il testimone è stato raccolto da suo figlio, Paolo, anch’egli enologo. È lui che, collaborando ad un progetto di studio e recupero avviato dalla proprietaria del castello, la signora Cristina Kettlitz, arriva all’individuazione del vitigno.

Le sue peculiarità
I suoi tratti distintivi sono presto individuati: bassa produzione per pianta, tannino vigoroso e ridotta capacità di produrre zuccheri e quindi alcool. Si pensa che la ridotta produzione per pianta sia stata il principale motivo del suo abbandono. La prima vendemmia utile è stata quella del 2015 e sono state vinificate anche le due successive. La vinificazione viene effettuata in modo tradizionale: pigiatura, diraspatura, fermentazione a temperatura controllata in tini di legno a cielo aperto.

Il vino
Il vino, ottenuto da uve Merera in purezza, si chiama “Il Brolo dei Guelfi” rievocando il periodo in cui Bergamo era controllata dai Guelfi, in contrapposizione alla ghibellina Brescia. Ha un colore rosso porpora, al naso presenta eleganti note fruttate (frutti di bosco, in particolare ribes), al palato è sapido, tannico ed acido, ma anche cremoso. Nel complesso è un vino di elevata qualità e finezza che ha buone potenzialità di invecchiamento. Dal 2016 il vitigno è stato inserito nel registro nazionale delle varietà di vite. Come fare per gustare questa new entry nel panorama vitivinicolo italiano? Un modo può essere quello di partecipare ad eventi quali Castelli e Ville Aperte e bere un buon calice di vino al termine della visita al castello con la sua storia millenaria.

L’auspicio è che si possano sentire altre storie simili. Ciò non tanto per cavalcare l’onda del successo dei vitigni autoctoni ma per effettivamente favorire la tutela e la valorizzazione della biodiversità italiana, vero fiore all’occhiello della nostra agricoltura
È con piacere che apprendo la riscoperta di questo vitigno e a quanto ho capito alla riuscita di una felice produzione di vino, che dalla presentazione pare, oltretutto, essere un buon bicchiere.
Spero che tutto lo sforzo proteso a riscoprire e realizzare ciò che è stato fatto, come di solito succede in Italia, si fermi qui. Promuovere publicizzare e valorizzare per mettere a conoscenza ciò che molto spesso riusciamo a realizzare. Un po’ come fanno all’estero, che esaltano prodotti, i quali il più delle volte, non per campanilismo, non meritano nemmeno di essere menzionati.
La ringraziamo per l’apprezzamento. Speriamo anche noi che il Castello di Grumello, peraltro ora con una nuova proprietà, non vanifichi gli sforzi fatti e riesca quanto più a far conoscere e valorizzare il frutto di tanti anni di ricerca. Anche far conoscere all’estero parte del nostro patrimonio di biodiversità non è sempre facile, dato che spesso sono i nomi più altisonanti a farla da padrone.