I principali vitigni autoctoni pugliesi a bacca rossa

La Puglia si conferma, anno dopo anno, tra le regioni protagoniste dello scenario vitivinicolo italiano con una quota considerevole della produzione di vino italiano. Se in passato le uve pugliesi venivano spesso utilizzate come “uva da taglio”, ovvero principalmente per conferire una maggior gradazione alcolica ai vini prodotti in altre parti d’Italia, sta sempre più prendendo piede la consapevolezza della qualità dei vini ottenuti dai vitigni locali.
In questo articolo vogliamo parlare dei tre principali vitigni autoctoni pugliesi a bacca rossa: il Primitivo, il Negroamaro ed il Nero di Troia.Il Primitivo è diffuso principalmente nelle province di Bari e Taranto ma ha origini antichissime: questo vitigno veniva commercializzato dai Fenici in tutto il Mediterraneo e si ritiene che sia stato introdotto in Italia più di duemila anni fa dagli Illiri, un popolo balcanico dedito all’agricoltura. Il suo nome lo si deve ad un sacerdote di Gioia del Colle, don Filippo Indellicati che, verso la fine del XVIII secolo, osservando diverse tipologie di vitigni, ne individuò uno che maturava prima degli altri (tra fine agosto ed inizio settembre) e lo battezzò col nome di Primativo (dal latino “primativus”); a cavallo tra il XVIII ed il XVIII secolo venne impiantato nel tarantino.I grappoli del Primitivo hanno la particolarità di accumulare una grande quantità di zuccheri, dando così vita a vini dall’elevato tenore alcolico.
I vini da Primitivo presentano caratteristiche differenti in base al terroir ed alle caratteristiche pedoclimatiche in cui i vigneti sono messi a dimora, rispecchiando le specificità territoriali delle aree contigue a Gioia del Colle ed a Manduria, comuni che danno il nome a due differenti DOC per il Primitivo. Comunque, in linea generale, tali vini hanno un gusto pieno, armonico, molto persistente.
Il Negroamaro è un vitigno diffuso soprattutto nel Salento, nelle province di Lecce e Brindisi. È uno dei vitigni più antichi d’Italia: si ritiene che le sue origini risalgano alla colonizzazione ellenica tra l’VIII ed il VII secolo a.C. Il suo nome è il risultato dell’unione della parola latina “niger” con quella greca “mavros”: entrambe significano nero, per via del colore molto scuro delle uve di questo vitigno.
Questo vitigno presenta una naturale resistenza a diverse malattie che colpiscono le altre varietà; inoltre resiste molto bene alle temperature elevate, preservando la sua acidità. Queste caratteristiche hanno attirato l’interesse di molti produttori vitivinicoli delle zone più calde del pianeta.
La vendemmia viene effettuata tra la metà di settembre e l’inizio di ottobre.
I vini da Negroamaro hanno una buona struttura, sono caldi e morbidi, con tannini avvolgenti e vellutati.Il Nero di Troia è un vitigno diffuso nella provincia BAT (Barletta-Andria-Trani) e nel foggiano. Sulle sue origini non è ancora stata fatta chiarezza. Ci sono quattro diverse ipotesi a riguardo, tra leggenda e realtà.
La prima è legata a Diomede, l’eroe della guerra di Troia, che avrebbe portato con sé, dalla mitica città di Troia, questa varietà. La seconda sostiene che Dauni e Peuceti conoscevano già questo vitigno, ancor prima della colonizzazione ellenica. La terza ipotesi ne attribuisce la paternità all’omonimo comune della provincia di Foggia, Troia, fondato dai Greci. Per ultimo c’è chi afferma che questa varietà provenga dalla cittadina albanese di Kruja, in vernacolo chiamato Troia.
Le uve di questo vitigno raggiungono la loro maturazione ottimale ad ottobre, andando così incontro ad ulteriori rischi climatici, che, se contrastati a dovere, non impediscono la produzione di vini dall’elevata qualità ed eleganza.
Il Nero di Troia è un vino di struttura, corposo e con una elevata tannicità, con leggere note amarognole.

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