Cinque cose che non sai su… il Pallone di Gravina

Che il “Pallone” sia nato a Gravina (Ba) non è certo un caso… Mettiamo prima, come si usa dire, “i puntini sulle I”: il “Pallone” in questione è un formaggio vaccino a pasta dura, niente a che vedere con qualunque situazione ludica/sportiva. Nasce e viene protetto, come vi racconteremo, nella cittadina di Gravina, nota come la “Piccola Matera” per la bellezza paesaggistica e per questo motivo, location di tanti film e Serie Tv (uno su tutti? qui sono state girate le scene mozzafiato dell’ultimo James Bond!). In questo scenario da favola, in una terra fertile che farebbe la gioia di tanti buongustai (sito d’eccellenza per il grano duro e le sue trasformazioni ma anche il  vino rosso e il fungo cardoncello solo per citarne alcune) non può essere un caso che dia i natali anche ad un formaggio unico, per le caratteristiche che tra poco vi racconteremo… “Cinque cose che non sai su… il Pallone di Gravina”: buona lettura.

  • La storia del Pallone di Gravina è legata alla Transumanza. Per anni la Puglia è stata teatro di questa “pratica” faticosa, quando lungo i tratturi pugliesi transitavano greggi di migliaia di capi. Gravina era un’importante stazione di sosta sul tratturo Brandanico-Tarantino che congiungeva Melfi (Potenza) con la cittadina marittima di Castellaneta (Taranto). Gravina vanta tutt’oggi un’importante tradizione casearia, potendo contare sul latte vaccino proveniente degli allevamenti dell’Alta Murgia (un tempo quasi esclusivamente vacche podoliche).
  • Il nome, come è facilmente intuibile, deriva dalla forma a palla del formaggio. Rievocando la forma del più noto “caciocavallo”, salta all’occhio la mancanza della “testina” nel Pallone rispetto al caciocavallo, assumendo una forma più tondeggiante. Questo perché? Per praticità, i “palloni” venivano legati a due a due e trasportati a dorso dell’asino nella transumanza. Oppure per appenderli nelle grotte di tufo in cui, in alcuni casi ancora oggi, stagionano. Il peso? Può toccare i dieci chili.
  • Ma come si ottiene il “Pallone di Gravina”? Coagulando il latte intero vaccino, crudo, con caglio di vitello o caglio di capretto. La “cagliata” ottenuta si lascia a riposo e successivamente depositata su un piano di lavorazione. Ed è in questa fase che avviene l’acidificazione del formaggio. Questa fase dura ben 12 ore circa, al termine della quale la pasta viene tagliata e scaldata con acqua bollente per favorirne la filatura. Con una manipolazione, esclusivamente a mano e non industriale, si giunge alla nota forma sferica e quindi il nostro “Pallone” è pronto per passare in salamoia.  Resterà dalle 23-36 ore a seconda del peso, prima dell’ asciugatura (da non confondere con la successiva “stagionatura”. ) La stagionatura, storicamente, avviene nelle grotte di tufo presenti sul territorio, nelle quali vengono custoditi come un tesoro (un tempo, queste cantine naturali, erano prese d’assalto da briganti e ladroni). Ci vogliono ben tre mesi per acquisire quelle caratteristiche organolettiche che il formaggio possiede. Il colore diventa dorato intenso, il sapore acquisisce quel sapore piccante, più pronunciato rispetto al caciocavallo e il profumo assomma note erbacee e dolciastre.
  • Diamo un’occhiata ai valori nutrizionali del “Pallone di Gravina” su 100 g di parte edibile : Grassi 31 g , Proteine 37 g , Valore Energetico 459 Kcal . Non contiene molto lattosio, ma è ricco di Fosforo, Calcio, Lipidi e Vitamina B2. Un peccato di gola che sarebbe errato fare a “cuor leggero”, ma che può benissimo essere inserito in una dieta bilanciata.
  • Si produce da Gennaio a Marzo e lasciato a stagionare per almeno tre mesi, come abbiamo già detto. Oggi sono pochi i caseifici gravinesi che producono ancora il “Pallone di Gravina“. Per questo motivo, si è istituito un “Presidio Slow Food” per la sua tutela che ha coinvolto all’inizio due piccoli caseifici (Caseificio De Rosa e Caseificio Fratelli Tarantino) . Il Presidio ha il compito di tutelarne il nome, andato in disuso anche localmente, a scapito del comune caciocavallo e di farlo conoscere su scala nazionale/mondiale. Fondamentale che l’impegno preso tuteli anche gli allevamenti , a garantire una costante quantità di latte adatta alla lavorazione a crudo. L’Alta Murgia vanta ancora tutt’oggi mandrie semibrade in pascoli unici per varietà di erbe che si riflettono nelle proprietà organolettiche e nutrizionali dei formaggi.

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