Il supplì a Roma è un must, una forma d’arte.
Proprio per questo è un “mestiere” per pochi, richiede molta manualità e sensibilità per saper bilanciare i sapori e le consistenze che sono fondamentali. Perché bisogna dirlo: non è vero che “tanto fritto è bono tutto”, occorre la giusta tecnica per ottenere una frittura fragrante che non sia unta e soprattutto non sia bruciata, la quale oltre ad essere poco digeribile è anche nociva per la salute. Nella sua semplicità il supplì racconta una storia che parte agli inizi dell‘800, tra le borgate romane.Perché come tutti i cibi emblematici e simbolici di una tradizione gastronomica, anche il supplì ha origini umili, ottenuto riciclando gli avanzi: del riso, un sugo saporito, qualche cubetto di formaggio e il pane “vecchio” grattugiato. Inizia a diffondersi come “street food”, consumato agli angoli delle strade capitoline in occasione di sagre e festività per poi apparire solo anni dopo , nel 1874, sul menù di un ristorante: “Trattoria della lepre” con il nome di sopplis di riso. La prima ricetta ufficiale del supplì risale al 1929, scritta dalla gastronoma Ada Boni e pubblicata nel suo libro “La Cucina romana”, con l’ intento di salvare la cucina tradizionale della Capitale, che in quegli anni si andava perdendo. Prima ancora, nel 1901, fu suo zio Adolfo Giaquinto, nel libro “La Cucina di famiglia” a presentare la storica ricetta di famiglia. Secondo la sua versione “le sopplis” (il nome era femminile) possono essere condite anche con un sugo “finto”, cioè senza carne, e il ripieno può prevedere anche la presenza di interiora di pollo, dette dialettalmente regaglie, oppure funghi, prosciutto e qualche dadino di “provatura” (provola). Occorre poi lasciarlo raffreddare su una superficie di marmo perché si rassodi, prima di procedere alla formazione di queste “pallotte” di riso, da passare prima nella farina, poi nell’ uovo e infine nella pan grattato a “sigillare il tutto”. Infine si friggono in olio caldo, facendo attenzione che il ripieno non fuoriesca, fino a renderle “bionde e croccanti” e vanno consumate all’istante, ancora fumanti.Da allora una strepitosa scalata verso il successo, che lo ha reso “il fritto” più amato dai romani (e non solo).
Ma da dove nasce il suo nome?


La leggenda racconta che il termine supplì derivi dal francese surprise (si legge supríz) A quanto pare, un soldato francese, trovatosi a passeggiare per le vie di Roma, gustando la polpetta di riso appena fritta, definì la mozzarella nascosta al suo interno una vera e propria surprise, una sorpresa. Il termine, italianizzato, si trasformò successivamente in supplì.
Il “supplì al telefono” perfetto deve rispettare questi canoni: panatura extra croccante, che deve risultare dorata e non unta, il riso non deve sfaldarsi, il sugo deve essere denso e cremoso e ovviamente la mozzarella deve filare, proprio a ricordare i fili delle cornette telefoniche.
Noi ci siamo innamorati dei supplì di “180 grammi pizzeria romana” di Jacopo Mercuro,1° pizzaiolo d’Italia 2022, da quelli tradizionali a quelli più sperimentali e fusion.
3 spicchi Gambero Rosso, 8° pizzeria d’ Italia 2022 e 17° nel mondo secondo la guida “50 top pizza”, nel 2021 si è aggiudicata il premio “Migliore proposta di fritti” per la ricerca costante di gusti innovativi ed abbinamenti audaci oltre che per la qualità delle materie prime utilizzate.

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