Quanto ci piace parlare di “cibo”? Negli ultimi anni è diventata quasi un’ossessione, un’ostentazione che tocca vette numeriche, quasi immaginabili: più del 53% della popolazione italiana, ha dichiarato in un recente sondaggio, che ha il cibo, in tutte le sue sfaccettature, al centro di almeno una delle sue conversazioni giornaliere. Questo tutti i giorni, poco importa se feriali o festivi. Parlarne è diventato, quasi, più importante dell’atto stesso del mangiare. Sul perché è presto detto: il cibo è un piacere. Ed è un grandissimo piacere accogliere qui da noi Sandro Romano, gastronomo, giornalista e studioso (appassionato) della cucina italiana e del mondo. Pugliese doc e ambasciatore della cucina pugliese nel mondo (di recente anche una comparsa sulle reti nazionali, in compagnia di Pif , per la trasmissione “Ciao Marziano“, con l’obiettivo di scoprire le migliori focacce baresi), con eleganza ma senza peli sulla lingua, ci indica la retta via da intraprendere e riserba strigliate e consigli utili a tutto il mondo “food”. Da non perdere.
Candido Marinelli: – Buongiorno Sandro Romano, siamo davvero molto lieti di accoglierla su “La Ricerca del Gusto”. Critico Gastronomico, gastronomo, giornalista e studioso della cucina italiana e del Mondo. Ma anche ideatore ed organizzatore di eventi a scopo divulgativo, docente di giornalismo gastronomico e scrittore. Chiedo scusa se ho dimenticato qualcosa, ma lei come si racconta?
Sandro Romano: – Sono un grande appassionato di cucina che, sin da ragazzo, grazie ai viaggi, ha imparato che il cibo, la cucina e le tradizioni sono il miglior sistema per conoscere un popolo e la sua storia. Da allora ho raccolto oltre 6000 libri di cucina provenienti da ogni parte del Mondo, che trattano vari argomenti, dalle ricette alla storia della cucina. Ciò che mi piace meno è essere chiamato critico gastronomico, perché non mi ritengo tale. Scrivo per varie riviste di settore, è vero, ma preferisco descrivere e non criticare, invece mi piace molto creare un rapporto di fiducia con i cuochi in modo da poter avere con loro scambi di idee e anche poter discutere in separata sede, anche criticando costruttivamente i piatti, ma sempre in un’ottica di collaborazione e mai di denigrazione.
C.M.: – Qualche giorno fa, mi hanno colpito queste sue parole, in un commento su Facebook, che riporto testualmente: “chi mi conosce sa che non parlo per sentito dire, ma solo su libri, tracce storiche, documenti, interviste e ricerche sul campo. È il mio mestiere, sono un gastronomo e non un foodblogger “Non so quanto sia voluto, ma l’ho presa come una presa di posizione chiara, netta, sulle discusse dichiarazione del prof. Grandi, che invece ha dichiarato che “Cristallizzare la nostra identità fa un danno, così la uccidiamo, finirà che non se ne parlerà più. In che modo la storia dovrebbe legittimare la qualità?” Mi sbaglio o siete agli antipodi? Quanto è importante la salvaguardia in un campo che sembra destinato ad evolversi?
S.M.: – No, era la risposta non mi ricordo a chi, credo su Facebook, nessun riferimento o presa di posizione sulle dichiarazioni del prof. Grandi. Ma il concetto è quello da me espresso, cioè che la storia di una ricetta, di un ingrediente, va cercata su elementi certi e solo allora può essere considerata esatta. Ciò che non è certo si può supporre incrociando tracce, però deve essere evidenziato che si tratta di un’ipotesi. Purtroppo sui Social, invece, si legge di tutto e il suo contrario, fantasie improponibili date come certezze, che poi rimbalzano alla velocità della luce e vengono riproposte più e più volte fino ad essere considerate realtà. Così non va bene, ho visto fare copia/incolla di tali “verità” persino da giornali importanti senza verificarne le fonti.
C.M.: – L’ esperienza gastronomica è un approccio olistico, totalizzante, multisensoriale. Secondo lei, il mondo digitale si pone come un’ ostacolo alla fruizione esperienziale del cibo o come un mezzo per educare e sensibilizzare al gusto? Rischiamo di essere sempre più esigenti dal punto di vista estetico, a discapito, magari, del gusto?
S.M.: – Bella domanda. Il mondo digitale di per sé non sarebbe un ostacolo se fosse utilizzato correttamente. Del resto, insieme alla Tv ha contribuito al grande successo della cucina degli ultimi anni. Però è vero che ha spostato l’attenzione sul lato estetico mettendo il gusto in secondo piano. L’espressione più volte sentita “un piatto si gusta prima con gli occhi” trovo sia l’approccio più sbagliato che si possa avere. E’ esattamente il contrario, invece, un piatto va prima giudicato per il gusto e per l’armonia degli ingredienti. Soltanto dopo averlo assaggiato, se ci è piaciuto, il lato estetico va ripreso e aggiunto alla sua valutazione. Valutando un piatto dalle sue forme, dai colori, come avviene nel mondo digitale si rischia di considerarlo buono mentre magari non lo è assolutamente.
C.M.: – Per quanto riguarda la sua professione, con l’avvento dei social, ha ancora senso parlare di gastronomo, magari con le sfaccettature raccontate da Carlo Petrini in “Buono, Pulito, Giusto” ?
S.M.: – Il gastronomo deve avere basi solide di conoscenza non acquisibili senza anni di studio ed esperienza. Bisogna avere fame di conoscenza, passione, non fermarsi alla superficialità ma ricercare, leggere, studiare, imparare tecniche, e non pensare mai di sapere tutto, perché la cucina è un argomento serio e così vasto che ogni giorno si può imparare qualcosa di nuovo, anche alla mia età. E come dicevo prima, internet è un po’ un problema, molti pensano di conoscere la cucina solo perché ogni tanto vanno al ristorante o leggono qualche cosa sul web.
C.M.: – Qual è la sua “Ricerca del Gusto” ?
S.M.: – Mi piace partire dall’idea che ogni elemento, ogni materia deve essere rispettata e valorizzata, ma per farlo bisogna conoscerla. E’ ciò che cerco sia quando vado in un ristorante sia quando cucino io. Un piatto va pensato intorno al suo ingrediente principale, sulla sua giusta cottura e sugli elementi che lo accompagneranno esaltandone le caratteristiche. Invece, troppo spesso, vedo ingredienti messi a vanvera per stupire. Però i cuochi bravi – e ce ne sono – sanno pensare e realizzare una ricetta sui suoi sapori. Anni fa ero in giuria ad una gara e un giovane cuoco mi presentò un piatto pieno di ingredienti, e non si capiva quale fosse realmente il principale. Finita la gara chiacchierammo di questo suo errore, e lui non solo non se la prese, ma da quella sconfitta imparò tantissimo. Da allora, tenendo a mente quel consiglio, vince quasi tutte le gare a cui partecipa.
C.M.: – La ringraziamo e siamo davvero onorati del tempo che ci ha dedicato. Ci permette di concludere questa nostra chiacchierata con una richiesta? Un consiglio, di qualunque natura, a chi si approccia al mondo del food, qualunque sia la sua qualifica e/o ruolo.
C.M.: – Il consiglio è quello di studiare, viaggiare, essere curiosi, e vedere la cucina non come un gioco ma come una materia seria e importante. Volete conoscere davvero la gente, un popolo, una nazione, la storia, il perché di una certa usanza, di una tradizione? Sedetevi alla loro tavola.