Re indiscusso della cucina livornese. Rigorosamente con le “5 C”, attenzione a non sbagliare! Il Cacciucco è il simbolo della “livornesità” e ben rappresenta una città, Livorno per l’appunto, troppo poco considerata dal punto di vista turistico, soprattutto se confrontata alle poco distanti Pisa, Siena, Lucca e Firenze, gioielli di fama internazionale. Amici ricercatori del gusto, noi vi consigliamo di visitarla: passeggiare sulla terrazza Mascagni, magari con le luci del tramonto, non potrà che emozionarvi, come perdervi tra le viuzze affacciate sui canali di Venezia Nuova, quartiere che oltre a conservare la maggior parte del patrimonio architettonico ed i monumenti storici della città, è ricco di locali, osterie, ristoranti per tutte le tasche, in cui potrete gustare lui: il Cacciucco alla livornese! In quest’articolo della rubrica “Cinque cose che non sai su…” , vi raccontiamo, come al solito, aneddoti, curiosità e non può mancare la ricetta della tradizione per chi si vuole mettere alla prova in cucina. Buona lettura!

  1. Nel 2020, Il Cacciucco alla livornese, è stato inserito nel prestigioso elenco dei P.A.T toscani, al fine di promuovere la tradizione del piatto in Italia e a livello internazionale e tutelarlo da versioni, non rispettose del disciplinare, presenti sul mercato. Nel 1998 fece scalpore la scelta del marchio Buitoni (Nestlé Italia) di immettere sul mercato nazionale, un prodotto surgelato che riportava la dicitura “Cacciucco”. A seguito di una vera e propria sommossa popolare, con a capo l’allora sindaco della città, Gianfranco Lamberti, si riuscì a far eliminare dalle confezioni (attualmente ancora presenti sul mercato) la dicitura “alla livornese”.
  2. Come già detto, il Cacciucco alla livornese ben rappresenta la sua città. Leggenda vuole che il piatto sia nato dal senso caritatevole di fratellanza dei suoi concittadini. A causa di un’improvvisa tempesta, un pescatore intento in una battuta di pesca, morì affogato. Lasciò moglie e tre piccoli figli nella miseria più buia. Spinti dalla fame, i tre piccoli andarono dai pescatori, amici del padre, ad elemosinare del pesce invenduto. La richiesta non fu inascoltata, tutti donarono qualcosa: chi un polpo, chi una cicala, chi un palombetto e chi una seppia. La mamma, sorpresa e grata del dono inaspettato, pensò di preparare un piatto caldo. Con pochi altri condimenti a sua disposizione, pomodori, poco olio ed erbe selvatiche, fece una salsa che fece cuocere assieme ai pesci ricevuti. Riversò il tutto in una zuppiera con del pane raffermo e il profumo richiamò una folla di curiosi di vicini, sorpresi dall’ottimo odore proveniente dalla povera casa.
  3. Un’altra leggenda si lega ancora di più alla storia della città di Livorno, negli anni tra i più importanti porti commerciali del Mediterraneo, ma anche città multietnica, cosmopolita ed accogliente verso gli stranieri di qualsiasi provenienza e religione. Ed è proprio vicino al porto di Livorno che il turco Hamet, figlio di un pescatore e di un oste, che decise di aprire la sua osteria. “I livornesi sono grandi mangiatori” diceva e nella sua osteria, il piatto forte, era una ricetta tradizionale del suo paese natio, il “balık çorbası”, che preparava come faceva la sua mamma ma con una variante: al posto dei capperi mise la salsa di pomodoro, una novità proveniente dal “nuovo mondo”. Per risparmiare sulle spese, sceglieva il pescato rimasto invenduto sui banchi dei pescatori, pesci piccoli (küçük balik in turco) di varie razze. Con il successo del piatto e la proverbiale ironia livornese, ci volle poco a “livornizzare” la parola “küçük” in Cacciucco.
  4. Nel primo fine settimana di settembre di ogni anno, Livorno celebra il suo piatto più noto con una manifestazione: il Cacciucco Pride. Non aspettatevi stand fieristici e tavolate schiamazzanti, volutamente non è una sagra, ma una festa che celebra tutta la gastronomia livornese, coinvolgendo le attività ristorativa, ma anche enti, imprese, associazioni e persone con l’interesse e la volontà di operare  insieme per la valorizzazione turistica delle unicità di Livorno.
  5. Per la ricetta abbiamo lasciato fare alla storia. Come spesso già accaduto, vi riportiamo la prima ricetta “ufficiale” riportata da Pellegrino Artusi, nel suo noto volume di cucina “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891), sperando di farvi cosa gradita.

    Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere su questa parola la quale forse non è intesa che in Toscana e sulle spiagge del Mediterraneo, per la ragione che ne’ paesi che costeggiano l’Adriatico è sostituita dalla voce brodetto. A Firenze, invece, il brodetto è una minestra che s’usa per Pasqua d’uova, cioè una zuppa di pane in brodo, legata con uova frullate e agro di limone. La confusione di questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco manca a formare una seconda Babele. Dopo l’unità della patria mi sembrava logica conseguenza il pensare all’unità della lingua parlata, che pochi curano e molti osteggiano, forse per un falso amor proprio e forse anche per la lunga e inveterata consuetudine ai propri dialetti. Tornando al cacciucco, dirò che questo, naturalmente, è un piatto in uso più che altrove nei porti di mare, ove il pesce si trova fresco e delle specie occorrente al bisogno.

    Ogni pescivendolo è in grado di indicarvi le qualità che meglio si addicono a un buon cacciucco; ma buono quanto si voglia, è sempre un cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne una scorpacciata. Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere con olio, prezzemolo e due spicchi d’aglio intero. Appena che la cipolla avrà preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a pezzi, o conserva, e condite con sale e pepe. Cotti che siano i pomodori, versate sui medesimi un dito d’aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d’acqua.

    Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l’aglio e passate il resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che avrete in pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie, pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamassi cicale, ed altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà male aggiungere un po’ d’olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi separati; in uno il pesce asciutto, nell’altro tante fette di pane, grosse un dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco senza arrostirle.»

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