SPOILER: Avvisiamo gli appassionati di armocromia che, a seguito della cottura, il carapace del granchio blu perderà il colore che l’ha reso tristemente noto, per omologarsi alla maggior parte dei suoi compagni crostacei d’arancione vestiti e sposarsi perfettamente con una bella linguina con i pomodorini.
Ricercatori del Gusto, dopo essere stati letteralmente bombardati, nelle ultime settimane, da storie fantascientifiche, leggende metropolitane e chiacchiere da bar circa il “Callinectes Sapidus“, il temibile e famigerato Granchio Blu, è giunto il momento di fare un po’ di chiarezza e sfatare alcune dicerie.
Prima di dire la nostra ci siamo documentati a lungo e ci siamo rivolti a qualcuno del mestiere, che sicuramente ne sa più di noi, e che ha messo a disposizione tutto il suo sapere riguardo questa creatura marina che sta facendo tanto parlare di sé.

Ringraziamo il dott. Claudio Brinati, biologo e agrotecnico laureato, specializzato nel settore Agroalimentare e dell’Acquacoltura, che ci ha fornito tutti gli strumenti tecnici necessari a dare una veste quanto meno attendibile dal punto di vista scientifico al nostro articolo.

Mantenendo sempre la vena ironica e leggera che ci contraddistingue vi presentiamo la nostra consueta rubrica: “Cinque cose che non sai su… il Granchio Blu”.

Buona lettura!

  1. “I’m Blue”. Citando la celebre canzone degli Eiffel 65, ci sentiamo in dovere di fare questa precisazione:  sono definiti “alieni” – o alloctoni – in quanto nativi di un’area geografica completamente differente da quella in cui sono stati rinvenuti e non perché il colore blu rimanda al prototipo dell’extraterrestre blu-verdognolo dei film di fantascienza (come riportato da alcune testate giornalistiche). Per quanto sia conosciuto come “granchio blu”, in realtà sono solo le appendici ad avere questa tonalità più evidente, mentre il carapace tende al grigio-celestino tenue con possibili variazioni verdastre e marroncine (vedi foto). Il colore blu-verdastro è dovuto all’interazione tra i pigmenti alfa-crostacianina e astaxantina (che è rosso), una caroteno-proteina, che in cottura si denatura, rivelando il tipico colore arancio.granchio blu la ricerca del gusto
  2. “Old but gold (not lil.)” Differentemente da ciò che spesso trapela dalle varie ondate di disinformazione mediatica, il granchio blu non si può considerare un teenager della “generazione alpha” acquatica. Al contrario, sebbene negli ultimi anni si stia assistendo ad un significativo boom demografico in particolar modo nel mar Adriatico (sfruttando a suo favore la tropicalizzazione del Mediterraneo provocata dal cambiamento climatico), sappiamo che il primo avvistamento in Italia risale al 1949 in Friuli Venezia Giulia. Attualmente, tra le aree più colpite del nostro paese, vi sono le lagune attorno al delta del Po, dove da alcuni mesi il crostaceo ha avuto una crescita esponenziale, basti pensare che, al mercato ittico legato alle lagune, arrivano circa 20 quintali di granchi blu al giorno!granchio blu la ricerca del gusto
  3. Baby shower: It’s a Boy or it’s a Girl ? Seguendo il trend del gender reveal, vogliamo darvi alcune tips che vi aiuteranno a capire le differenze tra i due sessi e come riconoscerli (non sia mai vi venga in mente di metter su un allevamento casalingo). Come per tanti esseri viventi, anche questa è caratterizzata da uno spiccato dimorfismo sessuale, che in pratica abbraccia l’insieme delle differenze anatomiche tra maschi e femmine.Il maschio lo si può distinguere per le chele più grandi ma soprattutto per la forma dell’addome noto come ‘grembiule’, stretto e triangolare, mentre nelle femmine è molto più largo, adattamento che le permette di alloggiarvi le uova, diventando spugnoso e di colore giallo/arancione.granchio blu la ricerca del gusto
  4. A mali estremi … vai a pesca e rimedi! E’ evidente agli occhi di tutti che il granchio blu sia caratterizzato da un’elevata fecondità (le femmine possono arrivare a deporre anche tra due e otto milioni di uova per covata!) tanto che nel Nord America e America Centrale è stato riconosciuto da decenni come un’importante componente delle reti alimentari marine, sostenendo economicamente il settore ittico, con una produzione di cattura stimata (già nel 2013) solo negli Stati Uniti di 74.495 tonnellate, corrispondenti ad un’attività commerciale e ricreativa del valore di circa 185 milioni di dollari! Dunque la continua espansione di C. Sapidus potrebbe rappresentare un fenomeno da cui trarre vantaggio, mitigando l’impatto ecologico, con l’opportunità di valorizzarlo come risorsa della pesca, come già stanno facendo altri paesi mediterranei come Albania, Egitto e Turchia.
    A tale scopo occorrerebbe delineare una strategia di controllo e contenimento del granchio blu negli habitat invasi, evidenziandone le potenzialità nei mercati europei per scopi alimentari e promuovendo un funzionale sfruttamento commerciale.granchio blu la ricerca del gusto
  5. Lo Zio d’America. Ma da dove arriva questa specie aliena? Sappiamo che è originario delle coste occidentali dell’Oceano Atlantico ed è una specie endemica dell’America orientale, che si è sviluppata in un’area che va dal sud del Canada all’Argentina del nord. Ma la vera domanda è come è arrivato nei nostri mari? Teorie complottiste a parte, per quanto riguarda il vettore di introduzione nel Mediterraneo, sono state avanzate tre ipotesi:
    • a) arrivo “naturale” da parte dei granchi adulti grazie alla loro capacità natatoria;
    • b) dispersione delle larve mediante acqua di zavorra (acqua incamerata dalle imbarcazioni durante i viaggi)
    • c) introduzione intenzionale da parte dell’uomo per scopi commerciali.
    Tuttavia, ad oggi, nessuna di queste tre differenti ipotesi è stata accettata dal comitato scientifico come certezza assoluta. Quello che sappiamo è che il Mar Mediterraneo possiede, oltre a molluschi e crostacei di qualità – di cui il granchio è ghiotto – le condizioni ambientali perfette (temperatura dell’acqua, salinità, ossigeno e habitat del fondale marino) che potrebbero facilitarne la diffusione migliorando il loro insediamento e la loro sopravvivenza.

    Con questo articolo abbiamo voluto fare un po’ di sana ironia – lungi dal minimizzare un argomento del genere – da un lato per sdrammatizzare sulle conseguenze che sta creando questa specie nel settore ittico e dell’acquacoltura, causando non pochi problemi agli allevamenti di mitili (cozze e vongole) con danni stimati di decine di milioni di euro e una produttività persino dimezzata per alcuni siti.  Ma soprattutto per sottolineare, ancora una volta, quanto la colpa di tutto questo non si può addossare con superficialità ad un povero granchio affamato, che semplicemente ha tratto vantaggio da fenomeni allarmanti, quali l’aumento delle temperature dei mari e della salinità delle acque.  Il vero capro espiatorio è l’essere umano, probabilmente il più vorace e letale dei predatori, che giorno dopo giorno contribuisce – con coscienza e volontarietà – alla distruzione del suo stesso habitat e dunque della sua stessa specie, in modo inesorabile.

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